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“LA STRANEZZA”, UN GRANDE FILM SUL RAPPORTO TRA CINEMA E TEATRO E SULLA AMBIGUITÀ DEI TERMINI “REALTÀ” E “FINZIONE“

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Bellissimo, con tre interpreti d’eccezione, il film “La Stranezza” è una riflessione divertente sulla funzione sociale del teatro, sui processi mentali creativi, sul rapporto tra il vissuto dell’artista e la sua opera che è una sublimazione/trasposizione/universalizzazione di tale vissuto nell’opera. La finzione, sembra dire il regista, è comunque legata a dati autobiografici. Tutto quadrerebbe se gli eventi ascritti al vissuto dell’autore sono a loro volta, per ammissione del regista, frutto di invenzione come avviene nel film.

Pirandello (uno straordinario Toni Servillo) vive un periodo di stasi creativa. Sta raggiungendo la Sicilia diretto a Catania perché incaricato di leggere un discorso celebrativo in onore di Verga in occasione dei suoi ottanta anni. Si ferma a Girgenti (l’attuale Agrigento) per presenziare al funerale della balia. Incontra così i due titolari delle pompe funebri (Salvatore Ficarra e la coppia collaudata di comici protagonisti di una magistrale interpretazione) incaricati delle esequie che sono anche i capocomici di una compagnia teatrale amatoriale che sta approntando la messa in scena di un dramma scritto da uno dei due. Trattenuto per una disfunzione burocratica a Girgenti, venendo a conoscenza della passione per il teatro dei due becchini, mosso a curiosità, assiste di nascosto alle prove dello spettacolo e alla rappresentazione pubblica da cui trae spunto per scrivere il testo di “Sei personaggi in cerca d’autore”.

Una fotografia splendida, una ricostruzione dell’ambiente urbano e del paesaggio siciliano degli anni 20 puntuale, fatta di spazi naturali vuoti di costruzioni, di piazze animate da carretti e calessi molto suggestiva. Filologicamente rigorosa ed altrettanto attenta alla corrispondenza temporale con l’epoca dell’accadimento narrato sono i costumi e gli interni.

Un film pop e colto insieme che viene spontaneo associare a “Amarcord” di F. Fellini e a “La vita è bella ” di Benigni. Ci sono alcuni frames straordinari dell’archivio comunale di Girgenti – un luogo d’invenzione o reale? – che, per atmosfera e caratteristiche architettoniche, evoca uno degli ambienti del Castello di Hogarths del più famoso maghetto contemporaneo. Lo smisurato archivio è una metafora della inesorabile presenza della burocrazia che accompagna tutto il corso storico e registra i sommovimenti dell’agire sociale dei singoli e delle collettività. Ma è anche una efficace e sarcastica rappresentazione della corruttibilità ed operosità dei funzionari pubblica ed, inoltre, della consunzione della memoria, di ciò che resta dell’agire umano: un ammasso di faldoni impolverati pieni di documenti tarlati, ingialliti, consunti dal tempo, depositati appunto in quella sorta di cimiteri che sono gli archivi storici. Epigrafi di carta, tracce sbiadite dei pensieri e delle aspettative in vita, delle concessioni, dei divieti, delle sanzioni inflitte ai propri consimili da chi le ha vergate. Un film sulla morte, sulla inesorabile consunzione del tempo, un “memento mori” affrontato con spirito leggero, con una vena a volte grottesca a volte umoristica che a livello esistenziale stempera il suo risvolto tragico ed il suo contenuto angoscioso rendendolo umanamente più accettabile e rientrante nell’ordine naturale delle cose come solo certo cinema italiano sa fare.

Un film che pur nella sua rigorosa, etnografica, ricostruzione dei luoghi e degli ambienti di vita tuttavia ci mostra come si può legittimamente, a fini creativi, alterare efficacemente i fatti per rappresentare/immaginare come è nata e si è sviluppata nella mente di Pirandello una delle sue opere più rivoluzionarie e note, vale a dire “Sei personaggi in cerca di autore”, la pièce teatrale che ha sovvertito le regole del teatro classico mettendo in scena, per la prima volta, non un’opera teatrale ma il suo allestimento .

Molto efficacie il frames in cui il volto di Pirandello si moltiplica in molte immagini di diversa grandezza allorquando, nella solitudine della stanza in cui soggiorna, si specchia in una toilette, la cui alzata è formata da una molteplicità di specchi. Una annotazione che richiama un altro tema caro a Pirandello affrontata nel romanzo “Uno, nessuno, centomila” in cui lo scrittore e drammaturgo tratta della instabilità e della molteplice natura dell’Essere individuale e della difficoltà di definirne in modo univoco l’identità, il profilo psichico e le determinanti comportamentali, e che ha lo scopo di contestualizzare la vicenda della genesi di “ Sei personaggi in cerca d’autore “ all’interno del suo universo di pensiero.

Il film, infine, è un gioco di specchi. La vicenda narrata è sostanzialmente incentrata sull’allestimento di un rappresentazione teatrale di una sgangherata compagnia di teatranti amatoriali, una sorta di prefigurazione dell’opera stessa di Pirandello che, di nascosto, nel film, assiste alle prove. Film memorabili come “Effetto notte” (di Francois Truffaut del 1973) o come “La donna del tenente francese” (di Karel Reisz del 1981) o come pellicole molto più recenti mostrano, all’interno del racconto filmico, cosa avviene dietro le quinte durante le varie fasi di lavorazione del film stesso a dimostrazione delle contiguità e della filiazione del cinema dal teatro che pur condivide con il primo molte componenti – il copione, la finzione scenica, la centralità dell’attore, le prove di scena – ma che è davvero un’altra cosa a causa della presenza fisica degli attori, della condivisione ed immersione del pubblico nello spazio del teatro, del carattere evenemenziale e unico di ogni rappresentazione.

Moreno Orazi