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CAFARNAO – CAOS E MIRACOLI, “FINO AGLI INFERI PRECIPITERAI!”

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“Cafarnao – Caos e miracoli” è il nuovo film della regista libanese Nadine Labaki, vincitore del Premio della Giuria al Festival di Cannes, candidato al Premio Oscar come miglior film straniero, candidato a BAFTA,  a Cesar e a Critics Choice Award.

Caos tanto e miracoli zero. Ma forse non c’è neanche il caos nel film della Labaky, c’è un ordine, sordo alla bellezza della vita, ineluttabile. Tutto va come deve andare, cioè male. Fino a spingere Zein a intentare causa contro i genitori per averlo messo al modo e per continuare a far nascere nuovi disperati, come lui o come la sorellina, venduta in sposa e morta di parto appena undicenne.

Nato non si sa quando, non lo sa lui e non lo sanno neanche i suoi genitori, all’incirca dodicenne, con un numero imprecisato di fratelli e sorelle, Zein è uno dei tanti bambini senza documenti, abbandonati a loro stessi per le strade di Beirut, proprio come il piccolo straordinario attore che interpreta il protagonista del film.

Ma cos’è Cafarnao?

Cafarnao, in ebraico Kefar Nahum, era una città della Galilea, affacciata sul lago di Tiberiade, la cui sinagoga è ricordata nei vangeli come centro della predicazione di Cristo e dove una gran folla accorreva per vederlo ed ascoltarlo. Il termine cafarnao definisce un luogo pieno di confusione e disordine, indica perdersi, smarrirsi tra la folla. Anche trovarsi in un luogo o in una situazione talmente confusa da perdere l’orientamento o da confondere le idee. Ma significa anche “inghiottire” nella locuzione “andare/ mettere/ mandare in cafarnao”. Inghiottire la confusione nello stomaco. Mandare giù il rospo, insomma. Perché questa è la vita per Zein, un grosso e disgustoso rospo da inghiottire. Fin dalla nascita.

Ed è proprio qui a Cafarnao che, nel film, sembra compiersi l’antica profezia di Cristo: “Fino agli inferi precipiterai!” (Matteo 11,23). Una maledizione che si incarna nella quotidianità del piccolo Zein e che si rinnova ogni giorno.

Cresciuto in una famiglia numerosa che non si preoccupa neanche di registrare la sua nascita, insieme ai sui molti fratelli, nasce già adulto, gettato con noncuranza in una vita di stenti ed espedienti, di fatica e di miseria, di inganni e tradimenti. Non c’è tempo per la fanciullezza, bisogna sopravvivere. E la vita è maestra crudele e impassibile.  O impari o muori. Non ti guarda in faccia, non si commuove, non giustifica, non accetta scuse.

I temi che si intrecciano nel film sono molti: l’infanzia maltrattata, i migranti, il ruolo genitoriale, i confini tra gli stati, la necessità di avere dei documenti se si vuole essere considerati come esseri umani, la Dichiarazione dei Diritti dei bambini.

Zain non è un bambino, è il crocevia dove si incontrano tutte le miserie umane che colpiscono un cuore puro di fanciullo, che fanciullo non è e non è mai stato, non per sua colpa. È il peccato capitale dell’umanità contro sé stessa. É il coacervo ineludibile dell’ingiustizia che travolge l’innocenza, con stupida malvagità.

Zein è la colpa di nascere dalla parte sbagliata del mondo. Dove l’infanzia è negata e con lei, tutti i diritti fondamentali dei bambini.  Dove si sprofonda “Fino agli inferi”.

Film bellissimo.

Immagine presa qui