Home Politica LA STORIA DEL COMMERCIALISTA – RAIDER ERA TUTTA UNA BUFALA?

LA STORIA DEL COMMERCIALISTA – RAIDER ERA TUTTA UNA BUFALA?

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Sì.

Un dato su tutti avrebbe dovuto far sorgere il dubbio, i famosi 4000€ mensili che pare siano appannaggio solo di queste figure in tempo di pandemia.
Poco importa se per raggiungere tale cifra devi fare consegne a 10 metri una dall’altra, lavorare 20 ore al giorno e non avere mai problemi con lo scooter.
Ma quello che ha fatto più sorridere è che a pompare la notizia nei circuiti sia stata Dagospia. Famosa per la sua deontologia ferrea per nulla incline agli articoli clickbait…
Tanto che anche il nome era sbagliato, si chiama Emanuele e non Emiliano, non è un commercialista, ergo non avrebbe potuto aprire un suo studio, faceva questo lavoro da prima della pandemia e non ha mai toccato quelle vette di reddito, poi non viene mai citata la città di provenienza.

Così, tanto per capire dove si sta verificando la moria di commercialisti.

Ma il caso si fa più interessante quando il nome di Emanuele Zappalà spunta in altre interviste, post e articoli che vedono Deloveroo navigare in cattive acque per il trattamento poco trasparente dei suoi operatori e si scopre, grazie a Osvaldo Danzi editore di SenzaFiltro, che il sedicente rider commenta e interviene ogni volta che il nome dell’azienda viene citato (male) da testate giornalistiche, tra cui Report.

“La notizia, che sui social è diventata preda di chi ama condividere “storie di successo”, è stata pubblicata da La Stampa ed ha il sapore amaro di un favore offerto a chi deve rifarsi il trucco dopo la recente condanna del Tribunale di Bologna per l’utilizzo improprio dell’algoritmo con cui si gestiscono i riders, dopo la delegittimazione del CCNL da parte di tutte le sigle sindacali e dopo la notizia della morte di un rider di qualche giorno fa.
Proprio per questo, la parola “dignità” tanto abusata nell’articolo, dovrebbe riguardare più da vicino chi fa il mestiere del giornalista. E che a volte la dignità se l’è dimenticata.
Questo signore è tristemente famoso. Ha aperto un profilo Linkedin lo scorso anno per “fare massa” su un post in cui il suo Capo, Matteo Sarzana di Deliveroo è stato letteralmente aggredito per l’ennesima caduta di stile”.

Ne è nato un botta e risposta dove il rider ne esce decisamente malconcio e incapace di dare una spiegazione plausibile alle sue posizioni smontate dal giornalista.
Soprattutto perché Zappalà non fa più il rider da almeno un anno, ma lo si vede in prima linea, con i suoi molteplici profili su LinkedIn, ogni volta ci sia bisogno di difendere l’ingarbugliata e ambigua situazione delle aziende di cibo da asporto e i diritti dei suoi rider.

Insomma la storia è intricata e molto interessante, a pensar male Zappalà è l’ennesimo lacchè, dal nome forse fittizio, dell’azienda milionaria di turno che tenta di ripulirsi l’immagine dopo le gravi accuse subite e il giornalismo invece di essere il cane da guardia di malaffare e politica è poco più di un quadrupede scodinzolante.
Ma quello che fa cadere le braccia, l’ennesimo paio di braccia, è stata la reazione di una parte degli utenti dei social che hanno usato la vicenda per il solito giochino scaccia responsabilità “sempre colpa di qualcun’altro”.
Contro il reddito di cittadinanza (per i malpensanti, sono da sempre contro), le aziende che chiudono per colpa del governo e quindi anche i commercialisti che
NON HANNO PIÙ TASSE DA CALCOLARE
Quindi apriamo tutto, che ce frega della pandemia, salva un commercialista, nessuno pensa ai commercialisti?!?
Eh si lo abbiamo apprezzato il successo dell’iniziativa “io apro”; 60 fra bar e ristoranti che avevano aderito (la metà solo simbolicamente) rispetto ai 30.000 annunciati, tante multe e denunce ma non ai veri colpevoli di questo scempio, critici d’arte riciclati alla politica che hanno bisogno di farsi riprendere nudi al cesso per attirare l’attenzione e ex gieffine disoccupate.
Questa è EVIDENTEMENTE ironia, i commercialisti non hanno certo bisogno del nostro aiuto e no, non stanno facendo la fame in questo periodo.
Ci fa un po’ sorridere questa riscoperta del sentimento di solidarietà verso una categoria che di solito non suscita le simpatie dell’italiano medio, così poco incline (diciamo così) a rendere pubbliche le sue finanze.
Qui il trovate il post originale di Osvaldo Danzi:
Carlo Cosenza.
Carlo Cosenza
Autore dell’articolo