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SPOLETO62 SALUTA

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Sulle piacevoli arie di Verdi, in una piazza Duomo vestita a festa, si chiude il sessantaduesimo Festival di Spoleto.

La macchina. Un Festival che fila liscio come l’olio, una portentosa macchina dai tanti e complicati ingranaggi ben collaudati, che non lascia mai per strada i passeggeri. Tutto funziona a meraviglia.

Il motore. Il checkup ci consegna un festival con un motore ben oliato, che gira bene, resistente e affidabile. Un Festival tutto sommato senza scossoni. Un usato sicuro, con un motore che è pur sempre un gioiellino.

La velocità. Quest’anno è stata più costante. Gli spettacoli spalmati durante tutta la settimana hanno permesso di superare l’andamento a singhiozzo che aveva caratterizzato le ultime passate edizioni in cui molto del programma si concentrava nei fine settimana.

Il sorpasso. Una macchina capace ancora di farci provare la soddisfazione di un sorpasso, nei numeri tutti positivi. Ma anche col rischio di farsi sorpassare, ad esempio dal Macerata Opera Festival che ha proposto già da tempo alcune delle iniziative presenti quest’anno a Spoleto (Visite guidate dietro le quinte dei teatri) e anzi ha proposto anche molto di più, tipo i percorsi di accessibilità per ipovedenti e ipoudenti, percorsi tattili, audio guide. Attenzione ai competitors, da tempo non siamo più da soli nella corsa, ormai è una gara.

L’accelerazione. Ma se il sorpasso (nei numeri) c’è stato, con la freccia inserita e rispettando i limiti di velocità, quello che ha provocato una vera e proprio ebbrezza è stata l’accelerazione del cuore pulsante del festival con Jean Paul Gaultier. Prima nazionale in Italia, eccezionale spettacolo adrenalinico, un vero colpaccio, insomma. Ce ne vorrebbe almeno uno nel programma di ogni anno.

Le spie. Due le spie che si sono accese sul cruscotto dell’edizione numero 62: l’unica intemperanza del direttore, in una intervista video, in risposta alle tenaci critiche sul concerto di Mahmood e qualche fischio al Ministro degli Interni. Piccole fibrillazioni di un tracciato nella norma.

  • Mahmood: il pubblico da diversi anni si interroga sulla presenza al festival di concerti pop. Fiorella Mannoia, Franesco De Gregori e ora Mahmood. Ma il conducente decide il percorso come meglio crede e le critiche a Mahmood potrebbero semplicemente essere figlie del tifo politico (e razzista) che lo ha investito nella recente vittoria a Sanremo, fomentato dalla classe politica stessa. In fondo anche in passato abbiamo visto denunce e intemperanze per una “Bella ciao”, cantata al Teatro Nuovo durante il festival. 
  • Salvini: qualche fischio c’è stato, non si capisce bene se al Ministro, presente insistentemente sui media negli ultimi giorni per presunti coinvolgimenti in opache operazioni russe, oppure al Direttore e al Sindaco che anziché citare semplicemente, come sempre e doverosamente, l’ospite istituzionale si sono sperticati in un forse troppo lungo ossequioso ringraziamento. Abbiamo colto fra il pubblico queste due interpretazioni diverse, le riportiamo entrambe, tanto è impossibile stabilire la verità.

Il conducente. I risultati raccolti quest’anno, non sono solo frutto di un buon programma, ma anche di un lungo lavoro degli anni passati. Una partenza grandiosa ad opera di Menotti, una solida prosecuzione di corsa grazie a Ferrara. In mezzo, a fare da monito, un fulmineo periodo buio in cui la macchina ha girato a vuoto. Il conducente è fondamentale. Tra un anno scade il mandato all’attuale direttore e si ripresenta nuovamente il dilemma della scelta. Il rischio è grosso. Torna in auge la petizione con la proposta di scegliere un nuovo direttore attraverso un bando internazionale sulla base di un progetto.

L’Assicurazione. L’affidabilità della gestione costituiscono una buona assicurazione che ha fidelizzato il pubblico. Sicuramente l’obiettivo dovrà essere quello di attrarre sempre nuovi spettatori oltre che mantenere gli affezionati. Ferrara ci prova, anche tentando di abbassare l’età media dei frequentatori. Ha ragione, spingere di più sui giovani e magari anche con una sezione dedicata a bambini e adolescenti, potrebbe essere una voce da aggiungere alla polizza vita del Festival.

La carrozzeria. Il sindaco pensa sempre ad ampliare la scocca. Il suo cruccio è una carrozzeria che deve essere mantenuta in buono stato, in perfetta forma e tirata a lucido. Aree dell’abitacolo, come il Complesso di San Nicolò, inibite al pubblico per via di una ricostruzione post sisma non ancora efficace devono essere risolte al più presto.

Il circuito. Ferrara continua a tracciare il percorso, che l’anno prossimo porterà a Shanghai un pezzetto di festival con lo spettacolo “The Map” di Bob Wilson sulle orme di Matteo Ricci, il monaco che fu uno dei primi a costruire un ponte tra l’Europa e la Cina unendo le conoscenze geografiche di due modi. Ancora due mondi. E nel 2021 lo spettacolo sarà a Spoleto, grande e gradito ritorno di Wilson quindi, indipendentemente dalla riconferma o meno di Ferrara alla direzione del Festival.

Sosta ai box. La finestra di casa Menotti si accende nell’ultima ora del Festival, illuminata dal faro al calar del giorno, i girasoli si affacciano sulla piazza. L’ultima nota si spegne e il lungo applauso si smorza. Chi doveva vedere ha visto e chi doveva farsi vedere è stato visto. La macchina rientra ai box per l’ordinaria manutenzione e predisporre la prossima corsa. Bello sarebbe accendere un faro anche per Shippers.

La casa di produzione. Nel 1958 un grande artista visionario propose ad sindaco comunista di una cittadina umbra, in piena guerra fredda, una manifestazione con tanta America. La lungimiranza e lo spessore dei due ebbero la meglio sulle questioni geopolitiche transnazionali. Chissà quale altro mondo sceglierebbe oggi il Maestro. Asia? Africa? Australia? E chissà se oggi a Menotti sarebbero piaciuti Putin o Trump.