Home Economia SULLA VICENDA DEL FRANCO AFRICANO di Angelo Musco

SULLA VICENDA DEL FRANCO AFRICANO di Angelo Musco

1339
0

CFA come strumento di stabilità e crescita dei paesi africani francofoni.

Premessa

Discutere di Economia e in particolare di economia monetaria è argomento difficile e presuppone la conoscenza di vari argomenti: è perciò la materia ideale per sparare diagnosi, accuse e confezionare slogan che diventano immediatamente la rappresentazione di una facile realtà per coloro che non accettano e non conoscono la complessità del mondo.

Per ridurre la complessità del problema adotterò delle semplificazioni, senza stravolgere la sostanza del problema, ma occorre, tuttavia, chiarire alcuni concetti fondamentali:

  1. Convertibilità. Negli anni ’60 del secolo scorso chi avrebbe mai accettato, all’interno ma soprattutto all’estero, le nostre Lire e i nostri strumenti di debito (delle aziende esportatrici, delle banche o dello Stato) espressi in Lire? Invece veniva regolarmente accettata, anzi in quel periodo venne stimata come la più stabile delle monete europee. Un’economia in forte crescita e, soprattutto, una enorme quantità di riserve “valutarie” in oro o altra valuta convertibile (Dollaro USA o Sterlina), garantivano ai portatori delle nostre lire la conversione in oro o valuta pregiata. Questo sistema si basava sul fatto che ogni paese doveva dichiarare il tasso di conversione in oro e quando – per motivi legati alla concorrenza internazionale – un paese avesse voluto o dovuto svalutare la propria moneta lo avrebbe dovuto dichiarare ai propri cittadini. Nel 1971, con gli accordi di Bretton Woods, il sistema della convertibilità a cambi fissi cessò e iniziò l’attuale sistema in cui il cambio di ogni moneta è variabile e dipende dalle condizioni della domanda e dell’offerta di moneta. Per semplificare dal lato dell’offerta ci sono le importazioni e l’aumento del debito complessivo, dal lato della domanda ci sono le esportazioni, il turismo estero e tutte le transazioni che portano valuta estera.
  2. Svalutazione. “… è la riduzione del valore della moneta di un paese in relazione a una prefissata parità, che può essere espressa in termini di valuta di altri paesi o di oro. La svalutazione esprime quindi una variazione del tasso di cambio della moneta di un paese, cioè del suo prezzo nei confronti di altre monete: aumenta la quantità di moneta svalutata occorrente per acquistare una unità di moneta estera.” (Treccani)

E’ un’operazione che consente ai paesi in difficoltà di ridurre il tasso di cambio della propria moneta per favorire le esportazioni o attrarre investimenti esteri. E’ una manovra che da sollievo, ma non incide sui problemi che l’anno resa indispensabile; in genere la ridotta competitività deriva da costi eccessivi derivanti da scarsa produttività, costo del lavoro elevato, produzione obsolete e quindi mancanza di innovazione e sviluppo. Per i paesi importatori di materie prime, la svalutazione si ripercuote immediatamente sui prezzi al consumo e quindi sull’inflazione. In altre parole la svalutazione si traduce in una tassa piatta che colpisce soprattutto i beni essenziali e quindi le fasce più deboli.

  1. Inflazione. “Aumento progressivo del livello medio generale dei prezzi, o anche diminuzione progressiva del potere di acquisto (cioè del valore) della moneta. Il fenomeno può avere molteplici cause, sia reali sia monetarie”. (Treccani)

Molte possono essere le cause teoriche dell’inflazione, ma in questa sede ci interessa parlare di paesi con bassa occupazione, scarsa produttività relativa e alto debito pubblico.

In Italia la più grande svalutazione avvenne nel 1992, quando il Governo Italiano e la Banca d’Italia, al centro di una gravissima crisi monetaria, decisero di effettuare in più riprese una drastica svalutazione della nostra moneta che, uscita dalla parità dell’ECU (una moneta virtuale europea), subì gravissimi contraccolpi con due esiti sostanziali: da un lato i risparmiatori e i lavoratori avevano subito un forte ridimensionamento del potere di acquisto dei risparmi e delle retribuzioni e dall’altro, però,  l’elevato debito pubblico (acceso quando la moneta valeva di più) poteva essere ripagato con moneta svalutata. Tutta l’operazione può essere giudicata da posizioni diverse e contrapposte, ma è certo che quello fu un periodo di oscure manovre finanziarie e monetarie.

Inflazione e svalutazione sono due facce della stessa medaglia e – se sono fuori controllo – producono, in associazione con altri fenomeni collaterali, disoccupazione e disagio sociale

L’accordo CEMAC – UEMOA

Dopo aver sommariamente compreso alcune dinamiche monetarie, entriamo nel vivo del nostro problema; appare evidente che la stabilità della moneta è un fattore positivo per cittadini risparmiatori, lavoratori dipendenti e per l’economia in generale (importazioni, esportazioni e collocamento dei titoli di debito emessi da Stato, Banche e Imprese).

I paesi africani che aderiscono al CEMAC o UEMOA sono caratterizzati da economie deboli, bassa occupazione e scolarizzazione, quindi individualmente molto esposti alle turbolenze di un mercato finanziario mondiale che conosce solo la logica del profitto e che vedrebbe le economie di questi paesi come facili prede.

Nel 1945 De Gaulle intuì che, per facilitare il processo di sviluppo delle debolissime economie degli stati ex coloniali, fosse necessario realizzare una unione monetaria (per alcune finalità simile all’EURO di 55 anni dopo) fra i 14 paesi. L’adesione era volontaria e ogni paese aveva ed ha il diritto di recedere dall’accordo senza alcuna penalità. Il punto centrale dell’accordo è la garanzia, a cura della Banca di Francia, della convertibilità del Franco Coloniale Francese con il Franco francese prima e con l’Euro dopo il 2001. Ora il tasso di cambio contro Euro è: 1 CFA = 0,00152449 EUR – 1 EUR = 655,957 CFA.

Figura 1 Paesi CEMAC e UEMOA

Certamente l’accordo, come tutti i buoni accordi, da vantaggi a tutti e due i contraenti.

La Francia si espone al rischio di dover sostenere le monete dei paesi africani in caso di crisi monetarie e soddisfare i creditori esteri in caso di default, utilizzando le apposite riserve costituite dai paesi aderenti. A garanzia di tale impegno i paesi aderenti debbono depositare le riserve valutarie presso la Banca di Francia.

La stessa cosa accade in Italia dove la Banca d’Italia “possiede un proprio portafoglio finanziario in euro che, unitamente alle riserve valutarie … costituisce l’insieme delle cosiddette attività finanziarie nette. Queste ultime vengono investite nel rispetto di vincoli e limiti definiti dall’Eurosistema al fine di evitare interferenze nella conduzione della politica monetaria” (Bankit).[1]

Figura 2 – Le nostre riserve di oro

La Francia sicuramente trae vantaggi politici da tali accordi di partenariato, ma altrettanto sicuramente considerare le riserve come se fosse una tassa a carico dei paesi aderenti è un falso che denota ignoranza e malafede. Le riserve sono proprietà dei paesi depositanti i quali, in caso di recesso dall’accordo monetario, ritireranno quanto di competenza per depositarlo nella propria Banca Centrale.

I vantaggi e gli svantaggi per i paesi aderenti

La stabilità della moneta garantita dalla Francia, facilita gli scambi internazionali e soprattutto l’integrazione fra i paesi aderenti che costituiscono un grande mercato unico di 155 milioni di persone, meno facile per essere spadroneggiato dalla finanza internazionale. Il CFA stabile facilita, inoltre, il finanziamento dei deficit statali, mantiene un basso livello di inflazione a protezione dei lavoratori e dei risparmiatori. Detto in altro modo il CFA, reso immune da politiche di svalutazione improvvise derivanti dalla immissione di nuova moneta che può essere stampata solo dalla Francia, costituisce un parafulmine contro le politiche inappropriate adottate da una classe dirigente impreparata. Non dimentichiamo inoltre che qualche dittatore ha usato le riserve del proprio paese come ricchezza personale a cui attingere liberamente.

Il Mali nel 1962 decise di uscire, ma dopo una disastrosa crisi economica e monetaria, nel 1984 decise di rientrare per ricreare le condizioni necessarie per la  stabilità e lo sviluppo. Il paese, lacerato da tensioni politiche, religiose è caratterizzato da una forte presenza di gruppi del terrorismo islamico ed  è il più instabile.

Da sottolineare che i migranti provenienti dall’area del CFA rappresentano meno del 10% del totale dei flussi del 2018.

Quanto agli svantaggi occorre spostarsi sul piano squisitamente politico: questi paesi hanno volontariamente abdicato alla sovranità monetaria e se ancora oggi, nonostante la libertà di uscita, il patto resiste significa che i vantaggi concreti sono di gran lunga superiori a quelli di immagine.

Il sistema economico e monetario centrato sul CFA non sarà perfetto (come non lo è l’Euro), ma ha garantito uno sviluppo sconosciuto a paesi limitrofi.

La Nigeria, per esempio, possiede  ingenti risorse naturali, ma a causa di scelte politiche clientelari e di una politica monetaria senza i vincoli di una banca centrale credibile, è caratterizzata da una economia con un’inflazione del 12% annuo, e una svalutazione monetaria di oltre il 20%; una situazione che ha fatto esplodere la disoccupazione giovanile e il disagio sociale.

Non è un caso che, nel 2018, il 23% dei migranti sia arrivato in Italia dalla Nigeria attraverso il Mali.

Conclusione

In uno scenario così complesso e difficile, l’accusa di signoraggio contro la Francia colonialista corrisponde all’immagine di un colonialismo di rapina che esiste e coinvolge imprenditori Italiani, Francesi, Americani, Cinesi ma non ha nulla a che vedere con il CFA. Parlare poi del deposito valutario come se fosse una tassa per la stampa della valuta, è facile farlo credere “allaggente” soprattutto per tutti coloro che sulle bugie ci hanno costruito un’invidiabile carriera politica.

Le scelte di politica di bilancio, attraverso meccanismi complessi che sfuggono a chi non ha un’adeguata formazione, hanno un impatto diretto sulla vita nostra e dei nostri figli o nipoti.

Gli errori non si correggono nel breve periodo, ma occorrono tempi lunghi e la politica non può basarsi sui like dei social ma deve avere un disegno di lungo periodo. Democrazia diretta e visione dell’immediato non sono la bussola per avviare il nostro paese alle sfide dei prossimi decenni, quando sempre meno giovani dovranno sostenere un esercito di anziani.

Non è più differibile l’esigenza di iniziare a capire la realtà di un mondo che è molto più complesso di come ci viene rappresentato dal governo gialloverde. Le politiche di bilancio avventurose, come quelle approvate recentemente senza alcuna discussione alle Camere, possono avere due esiti alternativi:

  1. ha ragione il Governo e l’Italia crescerà nei prossimi anni del 1/1,5%: non avremo problemi a finanziare il costo del Reddito di cittadinanza e Quota 100.
  2. hanno ragione OCSE, FMI, Agenzie di valutazione e Osservatori internazionali indipendenti, l’Italia entra in recessione e se non avremo possibilità di finanziare il debito vecchio e nuovo saranno problemi seri per tutti gli italiani. Ricordiamoci sempre che i “famigerati e vituperati speculatori” che acquistano i nostri BTP sono quelli che ci forniscono il denaro per pagare mensilmente stipendi, pensioni, sanità eccetera. Notazione a margine, ma non troppo, la crescita non deve essere una vampata, ma un trend continuo perché le spese avviate nel 2019 non potranno interrompersi; e fra qualche mese si dovrà provvedere a trovare 25 miliardi di risparmi per evitare l’aumento dell’IVA che sarebbe la morte dello sviluppo.

Non è più il tempo di fidarsi di narrazioni semplicistiche, occorre approfondire e capire per poter esprimere un voto responsabile e cosciente dei rischi che si vogliono correre.

Angelo Musco

[1] Alcuni mesi fa parlamentari grillini proposero di vendere l’oro per finanziari i loro progetti!!!! Fortunatamente qualcuno ha fatto notare loro l’assurdità della proposta